CIRCO, TEATRO E PITTURA: UN SOGNO SURREALISTA ALLO STRHELER DI MILANO
di Davide Garattini
Così lontano…così vicino
Dopo Icaro, Donka, Rain, Corteo, Daniele Finzi Pasca ci propone La Verità, titolo piuttosto ermetico ed ironico visto le premesse, di fatto è uno spettacolo che ha debuttato nel 2013 a Montreal ed oggi al Teatro Strehler di Milano.
Per capire fin da subito che significato dare al titolo dobbiamo considerare che tutto parte da un fondale dipinto niente poco di meno che da Salvador Dalì… ma facciamo un passo alla volta e spieghiamo la genesi di questo spettacolo: una Fondazione d’Arte possiede un telone dipinto dall’artista spagnolo a New York negli anni Quaranta e viene proposto alla compagnia per uno spettacolo.
Come inizio non c’è male! Infatti partire da un’opera d’arte quasi sconosciuta, ma di un artista famoso e “commerciale,” come il bizzarro baffuto, è per tutti un buon trampolino di lancio; anche considerando il dato di fatto che è tutto comodamente trasportabile rispetto ad altre opere più delicate… gran bel colpo di “fortuna”.
Il telone in questione, nove metri per quindici, è quello che resta delle scenografie per il balletto Tristan Fou, andato in scena nel 1944 al Metropolitan, firmato da Léonide Massine per il Marchese de Cuevas. Quindi abbiamo un pittore surrealista da una parte e Tristano e Isotta dall’altra. Questi due aspetti non sono sottovalutabili, anzi sono un grande bacino di suggestioni e suggerimenti per sperimentazioni teatrali e scena caleidoscopiche.
Inutile dire che La Verità è piuttosto surreale, sarebbe stato difficile il contrario. In ogni scena assaporiamo un certo retrogusto onirico e ci troviamo a giustificare qualsiasi cosa assurda perché tutto è possibile, perchè alla fine ci si lascia trasportare il questo mondo con fiducia cieca e per due ore tutto è credibile!
Fin dal principio ci si rende conto che le situazioni sono assurde, le scene apparentemente scollegate tra loro: c’è un balletto, tutto piume bianche e paillettes, con una prima donna indispettita e le angherie tra danzatori e ad un tratto qualcuno cerca di venderti un dipinto ad un’asta. Ogni tanto qualcuno volteggia ed altri sputano delle caramelle alla menta. Effettivamente è uno spettacolo “imprevedibile” a tratti “incomprensibile”, esattamente come i quadri di Dalì che sembrano uniti da una certa mancanza di logicità, ma nulla è superfluo o semplicemente decorativo.
In effetti, se ci pensiamo bene, il “circo” e le opere di Dalì hanno una certa somiglianza: tante piccole parti completamente scollegate tra loro, ma con ognuna un proprio significato che, susseguendosi una dopo l’altra, compongono un unico grande quadro od un unico grande spettacolo.
Il pubblico sembra appezzare questo “viaggio”; probabilmente non tutto viene capito, ma l’attenzione è catturata e gli applausi non mancano. Non sembra un problema se le scene sono scollegate o a volte i testi un po’ banali: la regia è semplice e molto ludica, dove lo scherzo e il gioco sono i veri collanti più che una visione complessa di montaggio. L’occhio è appagato da visioni semplici e sognatrici e forse questo basta e avanza.
Nell’insieme assaporiamo una certa raffinatezza nelle luci e nei costumi così come un certo gusto estetico negli elementi scenografici che puntano a rievocare elementi daliniani, come soffioni e stampelle o cavalli e tori. Forse però non avrebbe guastato un maggior sviluppo del rapporto tra la tela ed i suoi elementi sfruttati nelle arti circensi, già che si era creata l’occasione forse si sarebbe potuto approfondire il rapporto tra i due diversi mondi.
Non è più Circo come siamo abituati ad immaginarlo, ormai si sa che questa arte si è evoluta. Il numero è incorniciato, ormai, in un contesto, dal giocoliere, al trapezista, dall’hard balancing, alla ruota Cyr è sempre un momento magico e poetico, delicato e mai urlato. Sono delicati dei rinoceronti che suonano il pianoforte così come può essere poetica una bambola che si lascia incuriosire da un contorsionista, così come è pazzesca una pioggia di diablo rossi…. si è surreale, ma anche molto teatrale.
C’è qualche motivo per cui vediamo rinoceronti e non giraffe? Che cos’é la verità? È l’amore tra Tristano e Isotta? Anche no, visto che si innamorano grazie ad un filtro. Non è quindi vero amore.
Finzi Pasca vuol dirci che siamo tutti ciechi e siamo prigionieri di un sogno? Libera interpretazione… libera visione!